Erano dei venditori ambulanti provenienti dal salernitano, dal napoletano, dalla Calabria che giravano, negli anni 60 e 70, nelle nostre contrade, con dei furgoni, dei camioncini traboccanti di oggetti di plastica e utensili per la casa : secchi, bagnarole, caraffe, barattoli vari, tini, scolapiatti, scolapasta. Spesso si consumava un baratto fatto con capelli, con vecchi attrezzi dismessi del contadino, del pastore, oppure con vecchi mobili che adornavano le nostre umili case.
Gli oggetti di plastica rappresentavano la novità assoluta; la loro leggerezza, la loro resistenza, la loro praticità e funzionalità, nonché il basso prezzo, invitavano all’acquisto. La plastica da poco sintetizzata nei laboratori entrava nelle nostre case e si sostituiva gradualmente alle nostre cose. Aratri, gioghi, campanacci, collari per animali, mobili, lumi a petrolio, ad acetilene, vecchi ferri da stiro a carbone, recipienti di rame anneriti dal fumo, vecchie posate, cassapanche e tanti altri attrezzi da lavoro degli artigiani, oggetti che adornavano le nostre case, furono depredati e portati lontano, per sempre, dalla nostra terra.
Con la loro scomparsa anche la nostra storia, la nostra memoria vennero compromesse ed umiliate. Ogni oggetto rappresentava una persona, una casa , una comunità, un ambiente, un palpito, una piccola ed anonima storia. Quel baratto ha impoverito, a nostra insaputa, i nostri villaggi, la nostra comunità. Noi non avevamo coscienza di quella rapina, di quella deportazione di storie e di affetti. La plastica rappresentava il progresso ed il futuro, possederla era un motivo di praticità e contentezza. I capelli che si barattavano erano le lunghe trecce delle nostre mamme, delle nostre sorelle, oppure dei grovigli di capelli che cadevano e si accumulavano dopo ogni pettinatura, ed erano raccolti nelle buste di plastica.
Così urlavano gli ambulanti : ” u capillaru, u capillaru..”. Le massaie interrompevano le loro faccende e si accostavano prontamente ai furgoni, lì cominciava la trattativa per l’acquisto o per il baratto degli utensili di plastica. Il Moplen, il polimero che formava la plastica fu inventato dallo scienziato italiano Giulio Natta, che ricevette il Nobel per la Chimica nel 1963. Oggi La pietra, il legno, i metalli, le fibre naturali, la ceramica, il vetro stanno perdendo la loro battaglia contro la plastica. Anche l’aria, i fiumi, il mare sono invasi dalla plastica.
Vecchie lampade ad acetilene, ferri da stiro a carbonella, campanacci, antiche cassapanche, consumati utensili domestici e dei mestieri… adornano ancora qualche nostra abitazione e vengono esposti con orgoglio e gioia come rari e preziosi cimeli e conservati come memoria e documenti.