LA CARIVUNARA (Carbonaia) nell’alta Valle del Frido

Era una fornace di sola legna, serviva per produrre il Carbone Vegetale, si preparava con 50-100 ql di rami di scarto degli alberi abbattuti, la legna veniva messa leggermente inclinata, quasi in verticale l’una sull’altra a formare una grossa struttura a forma conica che veniva ricoperta completamente di zolle di terra, al fine di contenere tutto il calore che si generava dalla combustione di questa enorme pira.

La terra, per evitare che entrasse in profondità tra i rami, non poggiava direttamente sulla legna, ma su di uno strato di foglie.

Sulla parete di argilla della carivunara si aprivano alcuni buchi che permettevano la fuoruscita del fumo

La combustione lenta veniva regolata dal numero dei buchi, che potevano aumentare o anche diminuire a seconda se si voleva accelerare o rallentare la combustione.

Il fuoco, ultimata la preparazione della carivunara, veniva appiccato alla base o all’apice del cono di legna, ove era presente un foro circolare dal diametro di 30-40 cm, e man mano si diffondeva verso il basso o verso l’alto.

Il fuoco consumava nella combustione tutto l’Ossigeno a disposizione e provocava la perdita, la scomparsa dalla cellulosa di tutto ciò che non era Carbonio, per cui la legna si carbonizzava con il solo calore, in assenza di Ossigeno.

Per una settimana circa, ininterrottamente di giorno e di notte, il Carivunaro controllava la legna che lentamente bruciava, provvedeva a tappare nuovi sfiati che si aprivano spontaneamente, per evitare che le fiamme divampassero velocemente e trasformassero quella enorme quantità di legna, non in carbone, ma in cenere.

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D’altra parte bisognava essere essere pronti anche a ravvivare il fuoco con rami secchi, se la combustione procedeva troppo lentamente.

Dopo 6-7 giorni circa si sfuocava la Carivunara ed i carboni erano pronti per il trasporto e la vendita.

Il lavoro del carbonaio si esplicava durante tutto l’anno, ma era più intenso nei mesi invernali, nelle montagne di basso, perchè si lavorava meglio con le basse temperature che con la calura estiva.

Zio Gennaro Faillace era soprannominato “u Carivunaro”, perchè ha lavorato per anni il carbone nelle montagne di Saracena, di Alessandria del Carretto…,nelle nostre montagne. Ha lavorato per molto tempo nelle montagne di S. Costantino Albanese, aiutato anche da mio padre Nicola Propato e da suo fratello Rocco.

I carivunari non era solo gente delle nostre zone, molti provenivano da lontano, dalla provincia di Salerno, di Cosenza

Ricordo che negli anni 60, quelli che venivano da fuori, facevano provviste per una settimana, per un mese di generi alimentari nella bottega di mia nonna Mariantonia La Camera, caricavano sui muli le scorte di pane, pasta, zucchero, scatolette, detersivi, e con le loro famiglie raggiungevano l’alta montagna, dove alloggiavano in baracche costruite con i rami degli alberi e con le lamiere zincate, utilizzate, soprattutto , per la costruzione del tetto; per letto avevano dei pagliericci di foglie.

Era gente povera, spesso, quando andava via, alla fine della stagione autunnale, spariva e non saldava il conto della spesa alimentare da mia nonna.