Innocenti Risate: zio Beniamino Costanza ed il maialino ribelle

Il giorno 25 del mese di Novembre del 1962, come ogni anno, a Viggianello si festeggiava Santa Caterina; dalle frazioni superiori ed inferiori del comune, la gente si recava nel centro cittadino per invocare la protezione della Santa e per fare gli ultimi acquisti, prima dell’inverno.

Era abitudine comprare abiti pesanti, utensili per la casa, il baccalà per la vigilia di Natale, il pepe rosso in polvere (zafarano) per i salami, i fichi secchi, le crucette ( 4 fichi aperti a metà, disposti a croce, ripieni di gherigli di noce e cotti al forno), le scope di saggina, le palette per raccogliere la cenere, le pinze (muddette) e il soffietto (vussiaturo) per il camino, scarpe e scarponi cuciti a mano, mutandoni, maglie e calze di lana di pecora, i piccoli imbuti zincati (cannulieddi) necessari per insaccare la carne del maiale, coltelli, accette e perfino il maiale
Era una ricorrenza importante e sentita, che si festegiaava spesso in un clima freddo e piovoso e qualche volta anche nevoso, che apriva le porte al lungo inverno del Pollino, carico di solitudine, di temporali e di abbondanti nevicate. L’aria di festa invadeva le contrade e spingeva adulti e bambini verso la fiera, dove oltre agli acquisti, avvenivano incontri tra conoscenti e parenti delle altre contrade, rinsaldando antichi vincoli di amicizia e di parentela

Zio Beniamino Costanza, sposato da poco con zia Elvira Faillace, si recò quel giorno, in compagnia di nonna Rosa Fiore, alla fiera di santa Caterina per acquistare un maiale da ingrassare, e da macellare nel successivo mese di Gennaio.

I soldi a disposizione erano pochi, anzi pochissimi ed i numerosi contatti avuti con gli allevatori non andarono a buon fine: i maialini erano grassi e belli, ma pesavano molto e non c’era a disposizione la somma necessaria per l’acquisto.

La festa volgeva al termine e gli ultimi affari si concludevano freneticamente, con le bancarelle ormai smontate e pronte per la partenza verso altri mercati. Lo zio girando sfiduciato per il mercato, si imbattè, casualmente, in un allevatore a cui era rimasto solo un maialino, tutto pelle e ossa, che non aveva trovato il nuovo acquirente.

Si intavolò tra lo zio e lo sconosciuto allevatore una breve trattativa, che ebbe successo immediato, con soddisfazione reciproca.

Il maiale fu acquistato per poche lire, ma a quel punto occorreva una cordicella da legare al piede del maialino e da utilizzare come cavezza per fare ritorno a casa, attraverso il tratturo della Serra. Bisognava percorrere a piedi circa 15 km.

I soldi, ahimè, erano finiti, si riuscì con difficoltà ad acquistare uno spezzone di corda, lungo circa 1 metro, con il quale lo zio e nonna Rosa cercarono di tirare la bestia lungo la via del ritorno.

L’ossuto suino dimostrò da subito carattere ed aggressività inaspettati, e mal sopportava la corda, da cui con forza voleva liberarsi. I numerosi ed energici tentativi di fuga ebbero successo in località Accentata, subito dopo la c/da Torno: il maialino con uno strattone improvviso e violento ruppe la corda e riuscì a dileguarsi in un attimo nel buio della sera.

Lo zio con le mani sanguinanti, segate in profondità dalla corda, lo osservò rassegnato ed attonito ed a nulla valsero gli incitamenti rivoltigli dalla suocera Rosa, affinchè rincorresse e catturasse il suino.

Giunsero a tarda sera a Conocchielle, accolti dai familiari, preoccupati per l’ora tarda, per il maiale ed increduli per quello che era avvenuto.

Il giorno dopo, di buonora, zio Beniamino, zio Carmine e zio Giovanni Faillace (marito di zia Carmela a Strampalata), si recarono a piedi a Viggianello, percorrendo a ritroso tutta la strada, con la speranza di trovare lungo il tratturo della Serra il maialino (purcidduzzo).

Giunti a Viggianello seppero che il venditore del porcellino era un compare di zio Gennaro Faillace ed abitava in contrada Pisciottolo. Decisero all’unanimità di fare tappa a casa del venditore, con la speranza di trovarvi il porcellino.

Furono accolti con grande cortesia dal padrone di casa, che gli diede da mangiare e da bere in abbondanza e gli consegnò il dispettoso porcellino, che era rientrato verso l’una di notte nel suo porcile.

Fu data agli ospiti anche una borraccia di vino da bere durante il viaggio verso Conocchielle, il ritorno riprese con gioia in compagnia del maialino, che portò per tutto il tragitto, a mo’ di cavezza, una robusta catena legata ad una zampetta, all’arrivo prese dimora nel nuovo porcile, nel tempo ingrassò, divenne una bella e possente bestia e si presentò puntuale alla festa di Gennaio, che zio Beniamino preparò in suo onore.

U mmitu (il banchetto) riunì parenti ed amici, che gustarono le sue carni saporite, e tra una risata ed un bicchiere di vino si rievocarono le gesta del maialino ribelle.

Lo zio, al termine del banchetto mostrò agli invitati lo spezzone di corda che tanti problemi aveva creato a lui ed alla bestia, una grassa risata accolse il cimelio e concluse la festa del porcellino, che aveva dimostrato di non avere simpatie per le corde e di avere molto fegato.