Conocchielle ieri
La c/da Conocchielle negli anni 50 e 60 contava circa 300 abitanti, molti artigiani dalle contrade vicine venivano a lavorare nei mesi estivi a Conocchielle: Giuseppe Propato (Pippinuzzu u Lupu) da Viggianello faceva il sarto e suonava la chitarra, Zu Francisco Ginnirali di c/da Frida era il Falegname, Mariu Crocchiu di Pedali faceva lo stagnino (caudararo). Minicuccia Genovese di Viggianello lavorava da sarta da Ottobre a Giugno perchè seguiva il nipote Tonino De Tommaso, morto per infarto a 30 anni, che insegnava nella scuola Elementare, serale di Conocchielle.
Tonino era figlio di Mimì De Tommaso, un fratello di zio Giovanni, abitava nella casa di Pasquale Cristiano, ma spesso mangiava a casa di nonno Biagio, dove zia Teresa gli preparava la “culatedda i fasuli”. Tonino si serviva del pulman di Milione per raggiungere la c/da Torno e da lì, a piedi attraversava l’altopiano della Serra, raggiungeva Conocchielle.
Nella casa di nonno hanno trovato ospitalità altri insegnanti elementari (la signorina Cantisani (?), esile ed intelligente maestra di Rotonda a cui spesso di sera facevamo compagnia, e la figlia di Giovanni Ginnirali di Viggianello). Nella mia casa paterna l’insegnannte Cantisani Antonio, negli anni 60, ha tenuto un corso di scuola serale. In quegli anni, abbiamo ospitato un insegnante siciliano, che dopo qualche mese venne trasferito in Sicilia.
In verità in quegli anni, oltre alla presenza di migliaia di capi di bestiame (ovini, caprini, bovini, suini) anche alcune attività lavorative che sorsero in loco diedero impulso ad un breve miglioramento economico, ecco le più rapprentative:
- L’industria boschiva di Marra con la teleferica di Palombaro (anni 30-70) ,
- La costruzione della Galleria del Frido da parte della “Sogene” (1959 -1967 ),
- la costruzione di nuove strade: l’Autostrada SA-RC, la strada della Serra che permise il collegamento delle frazioni superiori con Viggianello, la strada Voscari – San Severino Lucano, la strada interna del rione Gallicchi,
- la costruzione di molte case coloniche con stalle e porcili,
- la costruzione delle briglie sul Torrente Fauciglio e sul fiume Frido,
- la costruzione dell’Acquedotto, delle fogne e della linea elettrica nelle frazioni superiori,
- La centrale Enel di Rotonda
Molti operai furono occupati anche in attività extraregionali, si ricordano:
- La industria tessile dell’Inteca -1969 – sorta nella piana di Cammarata del comune di Castrovillari,
- il raddoppio del binario della linea ferroviaria Tirrenica con il cantiere di Scalea e di Vibo (fine anni 60-primi anni 70),
- la Società Imprese Industriali Spa con il cantiere edile di Taranto e quello di Roma (anni 70).
Negli anni della mia infanzia (2ª metà degli anni 50 e 1ª metà degli anni 60) l’attività prevalente era la pastorizia. Pastori e/o bovari erano i Tornaiali, i Caioni, Pippino u Nivuru, zu Vicienzo Carammba, i Ciccilli, i Pidalisi, i Cristiani, i Ncicchi, i Monti , Vicinzino Capisci, i Rubbini, i Ntamati, zu Francisco u Massaro, i Cimini, i Carcazanchi, i Puntiddi.
Il “Massaro” era l’elemento cardine di quel micro mondo agricolo-pastorale, aveva “ricchezza”, ma non aveva molta autorità, fascino e cultura generale. Amministrava discretamente la sua piccola masseria, ma non era capace di espandere le sue conoscenze, di progredire, di fare proselitismo, di interpretare e cambiare la realtà che lo circondava, era quasi sempre analfabeta. i figli, i nipoti del massaro erano anch’essi “picurari ” analfabeti.
La gestione del gregge era approssimativa, l’igiene degli stazzi – scarazzi -, dei pagliai era scarsa, le epidemie ciclicamente decimavano le bestie, il controllo veterinario era assente, la carestia o l’abbondanza erano determinate dal buon Dio e/o dalla fortuna.
Mi riferiva mio padre Nicola Propato che sposare la figlia del massaro, negli anni 30-40-50, era il desiderio di molti giovanotti di allora. In seguito, a partire dalla seconda metà degli anni 60, gradualmente, il pastore perse autorità e ricchezza, le greggi non assicuravano più il sostentamento del nucleo familare, il formaggio pecorino subì la concorrenza dei formaggi emiliani, la lana, la carne di pecora, di capra persero parte del loro mercato, il letame venne sostituito dai concimi chimici a base di sostanze azotate e di fosforo, il trattore sostituì il “paricchio”.
Ma fu l’ignoranza a determinare la fine di quel mondo bucolico. La società in continua evoluzione richiedeva la conoscenza e l’uso della scrittura e della lettura, il pastore si trovò nello spazio di pochi anni immerso in una realtà economica e culturale non dominabile da un analfabeta, lontana dal suo modo di capire e di sentire. Era incapace anche di apporre la propria firma su un documento all’ufficio postale, al comune…., aveva bisogno di testimoni che convalidassero il segno della croce messo al posto del proprio nome e cognome.
La lettera del fratello, del figlio emigrati, dovevano essere affidate al parente, all’amico che erano capaci di leggerle e di interpretarle. La crisi fu all’inizio all’interno del proprio nucleo familiare, dove il pastore perse autorità nei confronti dei propri figli che si allontanavano dal mestiere del padre, e sviluppavano conoscenze da cui il genitore era tenuto lontano. Il pastore negli anni 70-80 non generava solo figli pastori, ma anche figli operai, artigiani, diplomati ed anche laureati.
Mio nonno Biagio, mio padre Nicola ( in possesso della licenza di 5ª elementare) spesso leggevano e spiegavano al pastore, all’operaio, ai molti analfabeti della contrada la corrispondenza che l’INPS, l’INAIL… inviavano ai propri assicurati, svolgevano un ruolo simile a quello degli attuali CAF.
Inoltre, verso la fine degli anni 60, e per tutti gli anni 70, il vento di libertà, di avventura lambì anche la nostra valle e portò molti giovani pastori, braccianti ed operai ad abbandonare una realtà antica, anchilosata nei suoi usi, nella sua morale e nella sua povera economia. Per noi, oggi, il mondo pastorale nella nostra contrada è finito ed è ormai legato a ricordi di miseria, di sacrifici, di precarietà e soprattutto di ignoranza. Resta la nostalgia per amici lontani, non più incontrati, per compagni di scuola e di giochi a noi cari , ai quali ci ha legato e ci lega tuttora un grande affetto ed una doverosa riconoscenza per il contributo che il pastore ha dato per secoli alla nostra economia, alla nostra cultura, alla nostra terra.
Gradualmente vennero minati i valori fondamentali di quel mondo agricolo-pastorale, in primis l’autorità del capofamiglia , che occupava il posto migliore a tavola, consumava il piatto più abbondante. Era una famiglia patriarcale nel cui ambito l’ultima parola era sempre la sua. Godeva di una forma di infallibilità, esercitata non solo verso i figli, ma anche sulla moglie. Era proibito persino fumare alla sua presenza, perché l’atto del fumo costituiva una mancanza di rispetto verso il genitore. Ricordo che il pastore Nicola Ciminelli sposato, con figli non fumava alla presenza del padre Vincenzo per non mancargli di rispetto, sebbene il padre, persona buona e mite non avesse mai imposto al figlio il divieto di fumare. In verità il divieto di fumo non riguardava solo il pastore, ma anche l’operaio e l’artigiano. Quel potere cambiò pelle in quegli anni e il dialogo, la discussione, la tolleranza entrarono nelle nostre case
Anche il modo di percepire la propria realtà cambiò gradualmente in quegli anni 60 e 70; Nella mia infanzia il sapore del latte fresco, dei formaggi e della ricotta, della carne di pecora e di capra era ricercato ed apprezzato, persino l’odore della lana e del letame risultava gradevole e familiare, gradualmente la percezione del gusto e degli odori di quel mondo incominciarono ad essere accettati con sempre più difficoltà e fastidio, i nuovi prodotti, dal gusto e dagli odori “neutri” si imposero tramite la televisione e la stampa e modificarono il nostro palato e le nostre narici.
L’arrivo a Conocchielle nel 1970 dell’Elettricità e di un televisore, regalato dal senatore Venturino Picardi durante una campagna elettorale, montato nella mia casa paterna, permisero, per la prima volta, tramite la pubblicità, la conoscenza e l’entrata nelle nostre contrade, di prodotti nuovi, che negli anni modificarono il gusto e le nostre abitudini e portarono gradualmente a marginalizzare i nostri prodotti: la nostra ricotta “sapeva” troppo di ricotta, aveva un sapore troppo forte, il formaggio pecorino era troppo piccante, la nostra lana puzzava ed irritava la pelle, la carne dei nostri animali era troppo dura e dal sapore deciso, erano e sono queste alcune espressioni che segnavano e segnano il rifiuto garbato, ma netto verso gli alimenti genuini della nostra terra.
Con quel televisore Autovox, dotato all’esterno di stabilizzatore di tensione (si vedeva solo il 1° canale in bianco e nero), seguimmo assieme a Peppino Viceconte “Carcazanchi”, e ad altre persone i mondiali di Calcio in Messico del 1970: la partita vinta dall’Italia contro la Germania e la finale persa contro il Brasile.
Un velo di tulle a tendina o di altra stoffa a plissé copriva e proteggeva dalla polvere il televisore spento ed anche lo stabilizzatore. Qualche anno prima del 1969 fu acquistato da Chirieleison Vincenzo, nella nostra contrada, il primo televisore a batteria, era un piccolo televisore di 12 pollici (?) venduto dalla ditta Papaleo Luigi di S. Severino Lucano, che richiamava frotte di bambini nella casa di za Minuzza Propato in via Cammaruozz. La ditta Papaleo elettrificò la gran parte delle nostre case inchiodando migliaia di metri di cavi elettrici bianchi , a “piattina“, sulle superfici dei nostri muri e dei nostri solai e fornì anche i primi elettrodomestici
Nel 1954 la Scuola Elementare, trasferita dalla c/da Varco, incominciò la sua attività a Conocchielle nel Dopolavoro di Faillace Francesco in c/da Cammaruozz e successivamente nella casa di Gallicchio Francesco “Quartieri“, in quella del “Bumminiedd” (abitata fino agli anni 60 dai Rubino Sciascenti), di Nicola Propato in via Rauta, nella casa di Civale Domenico in piazza Nnant a Cantina, ed in ultimo, prima della chiusura, nella Cantina di “Mastu Ciucciu“La Camera.
Nel 1955 venne costruita dalla ditta SARGIF la strada rotabile detta “Via Nova” di Conocchielle, i lavori vennero eseguiti a mano con pale, picconi e carriole.
Alla fine degli anni 70 la prima linea telefonica privata della nostra contrada arrivò nella mia casa paterna. Il telefono pubblico venne installato qualche anno prima nella cantina di “Mastu Cicciu” La Camera ed in seguito venne trasferito nel bar di zio Beniamino. In quegli anni furono costruite le fogne dalla ditta Severino di Rotonda, venne rifatto l’acquedotto dalla ditta Chiodi di Teramo e furono asfaltate le strade.
Occasioni di scambio di opinioni, di confronto erano le fiere dove si vendeva il bestiame, si acquistavano utensili, abiti, scarpe, formaggi, salami, baccalà, scope, sardine…..Anche le feste della Madonna del Pollino, della Madonna del Carmine, di San Francesco, di Santa Caterina… erano utili a rinsaldare antichi vincoli e creare nuovi sodalizi e conoscenze. In occasione di quelle feste si verificavano anche liti, atti di violenza , perché spesso ci si inebriava e si perdeva il controllo delle proprie azioni e si riscattavano con la vendetta vecchi rancori e torti subiti, materiali e/o morali.
Le Cantine erano luoghi pubblici di incontri e di scontri, molto frequentati , specialmente nei giorni festivi- A Conocchielle c’erano la cantina di zio Rocco La Camera (anni 40- 50-60- 70) e del figlio Franchino ( la cantina fu gestita per qualche mese prima della sua chiusura da zio Gennaro Faillace), quella di zio Beniamino Costanza (dal 1982 al 1989) , A Varco c’erano la cantina di zu Ntonio u Furgiaro (anni 30-40-50) e poi del figlio Vincenzo “Piuttosto” (anni 60-70) , e quella di Fiore Antonio (anni 30-40-50), a Mezzana c’era quella dei Rubino (anni 50-60-70) . Nelle cantine si giocava a carte, alla Morra, alla Passatella e si beveva molto vino e molte birre
il gioco dei pastori era spesso la briscola, e la scopa, il tressette era un gioco riservato a giocatori più esperti, più allenati, più rodati. Nella cantina-dopolavoro di Antonio Fiore di Varco venne ucciso il 12 Settembre del 1944, durante una lite, dai fratelli Faillace “Chidai”, zio Carmine Faillace, fratello di mio nonno materno Rocco Faillace.
Nella cantina dei Rubino a Mezzana Salice si giocava a carte, alla morra e spesso si mangiavano il soffritto di pecora o di capra, le mazzacorde maleodoranti e/o il sangue fritto, coagulato prima nell’acqua bollente, e passato, poi, a pezzetti in padella con olio, aglio, peperoncino e peperoni verdi o crushki
Gli artigiani, gli operai erano più acculturati, più alfabetizzati e vivevano, per esigenza di lavoro, in una rete di rapporti sociali, più ampia, più variegata. I loro figli frequentavano la scuola con più assiduità rispetto ai figli dei pastori. la loro era una realtà che viveva di relazioni, di scambi con persone anche di altre contrade
Si diceva dei “Puntiddi” (Antonio La Camera) che fossero i pastori più ricchi e con molti milioni di lire depositati nell’ufficio postale, allevavano maiali che superavano i 2.5 quintali di peso. Segno ne era di quella ricchezza il figlio Vincenzino La Camera che studiò a Potenza, a Bari e conseguì un diploma di scuola superiore.
Purtroppo Vincenzino partì per la guerra del 40 e venne ucciso in Albania nll’Agosto del 1943
Erano gli anni del 1° cinquantennio del 900 segnati dall’analfabetismo e dalla miseria, per cui le scuole medie, le superiori, il diploma da noi non esistevano. I più fortunati, i più bravi completavano il 1° ciclo delle scuole elemenatari ( 1ª e 2ª classe) ubicate in c/da Varco fino al 1954 o frequentavano le scuole serali, per la maggioranza dei bambini la scuola non esisteva. Anche la transumanza favoriva la dispersione scolastica, inoltre i bimbi in quel contesto economico difficile costituivano una forza lavoro importante per le famiglie, specialmente per quelle numerose, molti ragazzi facevano i “furisi”, i pastorelli, i “discibbuli”, i “manuali“, i “fravicaturi“,
I “FURISI” erano i parìa, gli ultimi nella scala sociale, avevano in custodia il gregge del padrone e prestavano la loro opera anche in altre attività della famiglia del massaro, erano servi malpagati e maltrattati, spesso non condividevano con la famiglia del “padrone” neanche i pasti, mangiavano appartati, da soli. Era gente povera e dequalificata, molti erano ragazzi orfani, membri giovani di famiglie numerose in difficoltà economica, persone con deficit mentali, incapaci di difendersi dalle ingiustizie, dalle angherie a cui erano sottoposti. Seguivano il pastore nella transumanza e nei pascoli della marina di Sibari o di Policoro durante i mesi invernali. La “paga” (salario) era concordata tra il pastore e la famiglia di appartenenza del furiso, spesso consisteva in prodotti caseari (ricotta, formaggi) oltre al vitto ed all’alloggio. Qualche volta era concessa al furiso la possibilità di essere proprietario di un numero limitato di capi di bestiame, mischiati nel gregge del padrone.
Altri nostri concittadini della contrada Conocchielle erano piccoli agricoltori, artigiani o operai impiegati nel taglio dei boschi, nell’edilizia, nelle carbonaie, nei cantieri stradali, nella costruzione della galleria da parte della Sogene…
i “Mattiazzi” erano fornaciai, gestivano la fornace in località Acquafredda (anni 30-40-50) ove producevano ottimi laterizi: mattoni, tegole, “ceramili“
una barberia casalinga in via Cammaruozz, ed anche itinerante era quella di Peppino Conte detto “u barbier” (leggere l’articolo dedicato al barbiere)
Salvatore Cristiano con la sua fiammante 1100 D faceva il tassista, fu il primo ad avere a Conocchielle un’automobile: una bellissima topolino 500 giardinetta , belvedere
Mio nonno Biagio Propato “spinazzo” ed i suoi figli erano bravi calzolai, oltre che piccoli agricoltori e boscaioli. Al deschetto della bottega di nonno sedevano anche giovani “discibbuli” (discepoli, apprendisti) che volevano apprendere il mestiere del calzolaio. Si cucivano scarpine e scarponi nuovi, si riparavano, si risuolavano molte scarpe vecchie.
La moneta non circolava , scarseggiava; spesso si barattavano agnelli, capretti, formaggi, ricotte, per un paio di scarpe nuove.
Mio zio Francesco Propato gestiva da solo in via Rauta la sua bottega di calzolaio e vi vendeva anche le scarpe confezionate della “Varese“, che andava ad acquistare a Napoli 2-3 volte all’anno. la sua attività cessò agli inizi degli anni 60, allorquando si trasferì a Castrovillari con tutta la famiglia. La casa venne venduta x circa un milione di lire a Fiore Iacolo
La scarpa del calzaturificio Varese era allora, per noi campagnoli, la Ferrari delle scarpe, indossarla era un motivo di orgoglio, giustificato oltre che dalla rifinitura delle cuciture e dalla morbidezza del pellame delle tomaie, anche dalla ottima presentazione che ne faceva zio Francesco di questo prodotto. Era la scarpina della festa , della Domenica, dei matrimoni, che bisognava conservare con cura e ben lucidata per anni. La scarpa artigianale fatta da zio Francesco, da nonno Biagio era di ottima fattura e qualità, era molto resistente, ma era più pesante e meno rifinita, era calzata sia per il lavoro (scarpone o “zavatta“) che per la festa (scarpina o “scarpa fina“).
Mia nonna Mariantonia La Camera “niculedda” ha gestito per tanti anni un piccolo negozietto-bazar (a Putija) di generi alimentari. Anche zia Esterina Fiore, successivamente, ha gestito per qualche anno un negozietto di generi alimentari in via Quarto. dal 1982 al 1989 zia Elvira Faillace ha gestito l’ultimo negozietto di generi alimentari con annesso il bar.
Negli anni 20-30-40 Za Rosa a “Niculedda” nonna paterna di mia nonna Mariantonia, di zu Ruoccu u Cantinieru, di Antonio (il padre di mia nonna , Francesco La Camera morto a 25 anni per broncopolmonite, contratta durante una battuta di caccia , sposato con nanna Francesca La Camera, era figlio unico di za Rosa) gestiva una piccola merceria nella vecchia casa di zu Ruoccu, nella quale tesseva al telaio, vendeva i suoi manufatti, le spille, gli aghi, le “capisciole”, i ditali o li barattava con uova, salame, che andava a vendere a Castrovillari.
Francesco Faillace in località Cammaruozz (nell’odierno rudere della casa di zio Antonio Fiore e di za Francischedda), nelle vicinanze della fontanella, gestiva negli anni 40-50 un dopolavoro con la vendita anche di sale e tabacchi ( leggere l’articolo dedicato a Francesco Faillace)
in Via Gallicchi, negli anni 40-50, svolgeva l’attività di fabbro Antonio Viceconte “Traqquinio“, emigrato in seguito in Brasile, dove ha svolto per anni l’attività di barbiere (leggere l’articolo sulla famiglia Quartieri…), vi era anche la bottega di calzolaio di Gallicchio Nicola “u nipote“, che era un fratello della mamma Francesca di nonno Biagio Propato, era cioè un suo zio materno
Mio nonno materno Rocco Faillace era un bovaro e successivamente divenne un abile boscaiolo, usava l’ascia con maestria. Zio Gennaro Faillace, suo fratello Giovanni facevano i boscaioli, i carbonai, gli operai nei cantieri, i minatori
Mio padre Nicola Propato da giovane fece anche lui il calzolaio, il boscaiolo, il minatore nella galleria della Sogene; a partire dagli anni 60 ha svolto per circa 30 anni l’attività di fontaniere, di idraulico, prima come precario e poi come dipendente del comune di Viggianello fino al 1991, anno della sua morte.
Antonio, Giuseppe Fiore , Pippino Gallicchio “Pitrantonio”, Zu Silivo Signore Ntullo, zu Giseppu La Camera Rimito, La Camera Armando, Turillo La Camera, i miei zii Propato Vincenzo e Faillace Carmine erano muratori.
Franchino Conte “u barbiere“, zu Francisco “i Ginnirali“, zio Emilio Fiore erano falegnami. Mastu Peppe in via Cammaruozz svolgeva l’attività di fabbro (anni 50-60).
Maradei Antonio “Sciushko” era un abile maestro bottaio ( anni 40-50-60) costruiva botti, garavieddi (tinozze) varluni, varledde, cascette, mezzitomoli, misuredde, stuppieddi, e galette. Franchino La Camera “Pidaliso”, negli anni 60, faceva il sarto, al sottoscritto cucì il primo pantalone a zampa di elefante, alla “Celentano“. Sarte erano anche Erminia Signore, Giuseppina Gallicchio “i mattiazzi” e Ida Gallichio “i Ciccilli”(anni 60). Mariuccio Fiore “Bumminiedd” era un apprendista sarto c/o la bottega di Luigi Magno sita in c/da Varco
La famiglia del pastore, oltre che nell’allevamento del bestiame era anche impegnata in agricoltura. Arava i campi con il paricchio (pariglia di buoi aggiogati), seminava il grano, la segale (Irmana) l’orzo, il mais, coltivava le patate, i fagioli, i peperoni ed altri ortaggi, faceva il pane ogni settimana. Il mondo contadino era in simbiosi con quello pastorale, entrambi assicuravano una sopravvivenza dignitosa, essenziale nelle contrade dell’alta valle del Frido.