Giuvannu u Sanapurcedda

GIUVANNü U SANAPURCEDDÄ1]

Era un bell’uomo, alto, longilineo, proveniva da Episcopia, aveva un fisico asciutto e armonioso con un portamento elegante.

Era stempiato, indossava una giacca scura che metteva sopra il gilé, nelle cui tasche, infilava, quando camminava, i pollici; portava con sé un tagliente a forma di rasoio che usava come bisturi per castrare l’animale. Era un praticone, privo di conoscenze teoriche veterinarie, specifiche, ma con un buon bagaglio di esperienza maturata sul campo, che trasmetteva un’aria professionale, dottorale. Accettava solo compensi in denaro

Il Sanapurcedda arrivava, a piedi nelle nostre contrade, 1-2 volte all’anno. La sterilizzazione veniva fatta, in genere su maialini di pochi mesi, all’inizio dell’Estate o dell’Autunnno, quando il clima mite, e non molto caldo, favoriva la guarigione della ferita ed il benessere dell’animale

Il maiale adagiato per terra su di un fianco, e bloccato senza possibilità di fuga e di movimento da due o tre persone veniva castrato senza anestesia, grugnendo disperatamente. Il suo grido di dolore riecheggiava per tutte le strade polverose delle nostre contrade. Era per noi un momento di “naturale” sofferenza del suino, e veniva vissuto senza patemi d’animo, avendo, allora, noi tutti, poca sensibilità per il dolore dei nostri amici animali

Il sanapurcedda impassibile, praticava un’incisione nella pancia del maiale in corrispondenza di un fianco, esponeva parzialmente la matassa intestinale e le ovaie ed eseguiva la sterilizzazione con maestria e perizia. La ferita chirurgica, era velocemente suturata a sopraggitto con uno spago montato su una “zaccurala curvata”[2] , e veniva “medicata” con olio d’oliva o cenere. Ai maiali maschi venivano portati via i testicoli, che erano mangiati dal padrone.

Al termine dell’intervento la bestia era lasciata libera, e grugnendo ferocemente scappava nel porcile dove era isolata per alcuni giorni. L’isolamento era necessario per evitare agli altri maiali presenti nel porcile di leccare e lacerare la ferita suturata.

La sterilizzazione del maiale era fatta su animali giovani e molto prima della macellazione, perché l’animale fecondo, non sterile, durante la fase della suva[3] presentava carne maleodorante, che non poteva essere utilizzata per preparare la salsiccia e le sopressate. L’intervento di sterilizzazione era temuto dal padrone e di più dallo stesso maiale, perchè presentava dei rischi legati alla possibile infezione della ferita, all’emorragia interna, che qualche volta portavano a morte l’animale.

La Castrazione dei cavalli e degli asini – non eseguita dal Sanapurcedd’– avveniva a crudo con una pinza tipo Burdizzo che strozzava alla base dello scroto il dotto deferente ed il peduncolo vascolonervoso dei testicoli, i quali privi dell’apporto ematico delle arterie spermatiche andavano in atrofia, si seccavano e cadevano. Restavano solo due piccole sacche scrotali vuote

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Cenni biografici sui fratelli sanapurceddi di Episcopia riferiti dal Dr. Serrao Carmine di Episcopia, medico del 118 della nostra ASL e del PTS di Maratea

Erano due fratelli nati a Manca di Basso nel comune di Episcopia. Il maggiore si chiamava Giovanni Molfese, il minore si chiamava  Antonio, entrambi amavano indossare il gilé nelle cui tasche infilavano i pollici. Il vero e proprio Sanapurcedda  era il maggiore , Antonio aveva appreso il mestiere da suo fratello Giovanni. Due volte all’anno facevano, separatamente, le campagnate per la “sanata dei puorci “. Anche un figlio di Antonio, forse, venne avviato con scarso successo al mestiere del sanapurcedda

Giravano per tutto il circondario e si spingevano anche  nell’alta Puglia e specialmente nel foggiano. Giovanni, siccome non era patentato, veniva accompagnato con una Fiat  128 da un parente , che era il nonno del dr. Carmine Serrao di Episcopia. Giovanni  si sposò e visse con la sua famiglia a Lagonegro, una sua figlia laureatasi  in lettere insegnò materie letterarie al Liceo ed al Geometra di Lagonegro, frequentato dal giovane Serrao Carmine, che si laureò in seguito in Medicina e che adesso lavora nel 118 della nostra ASL

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[1] Sanare la purcedda significava castrare, sterilizzare la porcella/o

[2] Grosso ago retto o poco curvato da materassaio

[3] L’estro nel nostro dialetto viene indicato con il sostantivo Suva