Zio Antonio Maradei “Sciushco”
Zio Antonio Sciushco era una persona di bassa statura, scontrosa, superba, dai modi poco cortesi, aveva una voce acuta, stridula, ed il volto arcigno. Era un abile ed intelligente falegname e bottaio, esperto in barili, botti, garavieddi, varledde, varluni, cascette per il trasporto della sabbia, tummuli, minzitummuli, stuppieddi, misuredde, lancedde, galette; in breve, costruiva di tutto, servendosi del legno di faggio, castagno, cerro, ontano e dei cerchi di ferro, che servivano per mantenere le doghe nella forma desiderata.
Abitava con la sua famiglia a Conocchielle, in una bellissima casa, a due piani, costruita in pietra, dirimpetto alla casa di nonno Biagio Propato, dal mastro Giuseppe Fiore, padre di mia nonna Rosa; la casa, tuttora, in buon stato di conservazione, di proprietà della famiglia Cristiano, era fornita di servizi igienici, aveva due balconi con ringhiera in ferro battuto, lavorato a mano, che si affacciavano sulla strada comunale, un terzo balcone era sull’ingresso della bottega sistemata al piano terra. La casa è stata ereditata dal nipote Pasquale Cristiano. Anche una pistola è tuttora in possesso di cumpa Peppe Cristiano, figlio del nipote Pasquale
Nella bottega aveva costruito la sua bara su misura, entro cui spesso faceva le prove della sua dipartita. Commerciava anche il legname: stanghe, traverse, mezzanelle ed altro. Veniva ritenuto anche un magaro e, dunque, capace di fare malefici, in verità era più il suo aspetto che incuteva timore e non la sua arte magica, che era a noi tutti sconosciuta. Masticava in continuazione un sigaro ed allacciava la cintura dei pantaloni all’indietro, indossava quasi sempre un panciotto che copriva la camicia.
Zu Ntonio da giovane emigrò in Brasile (diceva che emigrò negli Americhi), a Rio De Janeiro, spinto dalla miseria, come tanti altri compaesani; facendo il sciuscià (lustrascarpe) mise da parte un bel gruzzolo, e dopo qualche anno fece ritorno a Conocchielle, ed avviò con successo nella sua bottega l’attività di bottaio.
La sua famiglia viveva nell’agio, d’estate trascorreva le ferie a Pozzuoli. Nella prima metà del Novecento regnava la miseria, la denutrizione, la sporcizia , specialmente nei piccolissimi centri rurali del sud , dove la mancanza di vie di comunicazione, dell’energia elettrica, delle scuole, dell’acqua potabile ostacolavano ogni forma di progresso.
Si viveva nei tuguri, e spesso in regime di promiscuità con gli animali, Assume, dunque, in quel contesto sociale, un connotato molto positivo, il tenore di vita della famiglia Maradei. Ma la malattia, il dolore entrarono in quella famiglia in modo violento ed irreversibile e spezzarono l’armonia che vi regnava
Il loro unico figlio, Francesco, a causa di un mal di gola (difterite?) evoluto in meningite, all’età di soli 18 anni morì. Il colpo fu durissimo, l’unione tra marito e moglie si affievolì, il carattere aspro, scontroso di zu Ntonio peggiorò e l’alcol entrò nella sua vita e lo spinse in una solitudine senza rimedio.
La famiglia si sciolse definitivamente nel 1962, dopo qualche anno dalla morte del figlio, allorquando anche zia Rosina Faillace, detta ” ‘a grossa “, a causa della sua enorme mole, morì. Fu costruita da mio zio Emilio Fiore, una bara ad hoc per contenere i suoi circa 200 Kg, ma fù costretto a segare la cassa perché risultò più lunga di 40 cm.
Si rese necessaria la rimozione della ringhiera del ballatoio dell’ingresso, per far uscire la salma. Il marito dopo qualche giorno, com’era nostra tradizione, collocò all’esterno, sull’architrave della porta d’ingresso, una striscia di stoffa nera, di forma rettangolare, con le iniziali bianche ( F. R. ) del nome e cognome della moglie, cucite al centro .
Quel drappo nero, forse di seta, rimase attaccato per anni sulla porta, ed anche dopo la morte di zu Ntonio, avvenuta nell’anno 1972, ricordava al passante che lì c’era stato un lutto, quel nero incuteva timore in noi bambini, quando di sera transitavamo con passi affrettati davanti a quella casa con l’uscio e le finestre chiusi. Lentamente, ma inesorabilmente, la stoffa perse il colore nero e divenne quasi grigia, le lettere si leggevano con difficoltà per poco contrasto e i margini sfilacciati dal vento e dalla pioggia, annunciavano che anche il ricordo di quella persona e della sua storia stavano scemando.
Zia Rosina Faillace, detta “zia a grossa” era una donna amabile, buona e risoluta, maneggiava con destrezza pistole e fucili, si confrontava con tiratori scelti nel tiro a segno, amava i suoi nipoti ed i bambini tutti, li intratteneva, seduti comodamente sulle sue larghe ginocchia, con storie e ghiottonerie; quando si vendemmiava preparava l’acquata che regalava a tutti noi. Dietro la casa, in una buca scavata nel terreno nascondeva i limoni che usava nelle bevande o sull’arrosto di maiale. Zio Vincenzo , accortosi di questa particolare dispensa, trafugava di tanto in tanto qualche limone e lo divorava con avidità. zio Vincenzo, Franchino La Camera pidaliso scaravano zia Rosina con un pettine a denti stretti chiamato scaraturo e allontanavano i pidocchi e le loro uova (lendini) ospitati nei suoi lunghi capelli
Zu Ntonio, rimasto solo, negli ultimi anni della sua vita fu assistito fino alla sua morte avvenuta il 21 di Maggio del 1972, all’età di 92 anni, dal nipote Cristiano Pasquale, figlio di sua sorella Mariantonia, sposata con Cristiano Vincenzo di Terranova del Pollino. In quello stesso giorno del mese di Maggio 1972 zio Carmine Faillace e zia Minicuccia la Camera fecero la promessa di matrimonio. Zia Angiolina Cristiano, la prima moglie di zio Gennaro Faillace, era anche figlia di Mariantonia e nipote, dunque, di Sciushco.
D’estate, sotto il ballatoio delle scale esterne della cucina, dimorava di giorno e di notte lo stagnino-lattoniere “Napp” in compagnia della sua dolce, bionda ed esile compagna. Stagnava le pentole, scioglieva l’oro e lo trasformava in anelli preziosi, con l’aiuto dei bambini che azionavano il vortice (mantice) e soffiavano con delle cannucce sul fuoco per ravvivarne la fiamma. Gli anelli venivano forgiati con un martellino sopra una piccola incudine. Spesso dei piccoli frammenti di oro fuso, durante la lavorazione, finivano nella polvere e venivano recuperati dai bambini a cui Napp’ faceva dei regalini. Cantava: “Carmela è nna bambola vo’ fa ‘a morë cu Napp“. Proveniva ,forse, da Castrovillari Premere sul link per vedere le foto https://biagio.propato.org/antonio-maradei-sciushco/