LA Carcara (Calcara) a Conocchielle

Era un antico forno per la produzione di calce viva, che avveniva mediante un processo di combustione della pietra calcarea di timpa (roccia di montagna).La Carcara poteva avere una struttura esterna di forma cilindrica, con pareti fatte di pietra, lavorata a secco o con argilla, calce…. L’interno veniva riempito di pietre da cuocere (vedi Carcara di Malcanale di Marina di Maratea)

Da noi, a Conocchielle, non c’era una struttura esterna in muratura, il forno era costruito con decine o centinaia di quintali di massi di varia grandezza, collocati in una buca circolare scavata nel terreno, a mo’ di pozzo, profonda diversi metri.

Le pietre sistemate a strati sovrapposti ,circolari, con quelle più grandi disposte centralmente e le più piccole a contatto con le pareti del pozzo, formavano un forno con il tetto a cupola, che delimitava la camera di combustione, fornita di bocca di fuoco, attraverso la quale si alimentava il fuoco ininterrottamente con fascine di sparto (ginestra) o rami di faggio, per 7-8 giorni.

Nella carcara si lasciava un foro centrale per il tiraggio, attraverso cui usciva l’anidride carbonica che si sviluppava durante la combustione delle pietre calcaree. Il processo attraverso cui si arriva alla formazione di Calce viva ( è la calce asciutta, senz’acqua, che si ottiene dalla cottura della pietra) origina dal Carbonato di Calcio (CaCO3), costituente naturale principale della pietra calcarea, che sottoposta alle alte temperature della carcara, perde anidridre Carbonica (CO2) e si trasforma in Ossido di Calcio ( CaO):

CaCO3 calore> CaO+ CO2 Il successivo processo che porta alla formazione di calce spenta (è la calce messa dentro l’acqua in una fossa) consiste nel far interagire l’Ossido di calcio e l’Acqua, il composto finale è l’Idrossido di Calcio Ca(OH)2

CaO+H2O = Ca(OH)2 – La calce messa nella fossa o in una vasca piena di acqua, si mette a bollire raggiungendo una temperatura di circa 300°, è questa una reazione esotermica che genera calore. In seguito si raffredda divenendo Calce spenta.

La cupola era attraversata dallo sfiato dell’anidride carbonica ed era formata da molti strati di pietra e veniva isolata con terra per evitare di disperdere il calore. Per avere la calce bianca bisognava usare roccia calcarea di timpa, se la pietra usata era ricca di argilla, il colorito della calce era più scuro, dava sul beige e veniva chiamata caucia dràula (la calce idraulica era un prodotto imperfetto, ricco di argilla, ma aveva una buona presa anche sott’acqua), veniva usata nell’edilizia per formare una malta più grossolana.

La calce bianca era impiegata nella edilizia, per intonacare i muri, imbiancare gli interni delle case ed anche gli esterni,disinfestare gli ambienti domestici ed i ricoveri degli animali, imbiancare il fusto degli alberi, per allontanare o uccidere i parassiti.

La calce viva appena sfornaciata, si presentava come una pietra biancastra, poco resistente, era misurata con il mezzotomolo e trasportata a valle da muli, asini e cavalli per mezzo di varloni, cascette, o cofani legati sui basti.

Cuocere le pietre nella Carcara era difficile, quando era pronta per essere sfornaciata, si diceva che la carcara era cotta, le pietre perdevano la loro consistenza e si facevano attraversare da bastoni appuntiti.

Se, al contrario, la cottura non era quella giusta, si doveva rifare tutto dall’inizio. Negli anni 50 una grande e forse l’ultima carcara di Conocchielle, è stata fatta in località “Capitunno” da mio padre, Nicola Propato e da zu Silvio Signore “‘Ntulli”.

In c/da Frida c’era la Carcara di “Culucusutu”, si trovava fuori dal centro abitato, sulla vecchia strada che portava al Santuario della Madonna del Pollino, in località “CRAPIO”, vicino al “Pisuolo” della Madonna.

PERCORSO PER LA LOCALITA’ CRAPIO:

dopo circa 2 km dalla c/da Frida, lasciata la strada rotabile del Santuario, ci si avvia sulla vecchia mulattiera, e dopo circa 50 metri dall’inizio della salita, a dx , c’è il Fosso della Carcara ricoperto da arbusti e rovi, e vicino, verso la roccia, c’è la “Timparedda” della Carcara, da cui si prendeva la pietra calcarea.