Zio Beniamino Costanza nella casa cantoniera

Correva l’inverno dell’anno 1952, molta gente del Pollino s’era già trasferita nella marina di Policoro per svernare, anche la famiglia di zio Beniamino, allora diciassettenne, aveva trovato alloggio in marina; solo poche cose necessarie erano rimaste nella casa di Frida e bisognava portarle a dorso d’asino nella casedda di Policoro.

Lo zio fu incaricato dal padre ad eseguire quel trasloco con due asini, di cui uno robusto e potente ma pericoloso perché in precedenza aveva staccato con un morso alcune dita della mano di zu Ntonio, suo padre, l’altro era un’asina mansueta.

Il viaggio durò due notti e tre giorni, la prima notte passò liscia all’addiaccio a S. Costantino Albanese, l’altra fu trascorsa con le bestie nel Pantano di Senise in un luogo insolito.

La seconda notte si annunciò con un temporale violentissimo, pieno di tuoni e lampi che costrinsero lo zio a trovare un riparo per sé e per le bestie. Nelle vicinanze non si vedevano stalle, capannoni, pagliai.

Casa cantoniera

C’era nei paraggi solo una casa cantoniera, apparentemente abbandonata, disabitata, con una porta socchiusa che portava ad uno stanzone disadorno. La piccola carovana, con qualche perplessità si accomodò nella stanza, in verità gli asini fecero resistenza passiva a quella decisione: solo dietro una spinta poderosa del padrone varcarono l’uscio e presero dimora nella casa cantoniera.

Le prime ore di riposo, mentre fuori imperversava la bufera, trascorsero senza imprevisti, con lo zio al centro seduto per terra, con le spalle poggiate al muro e con i due asini tenuti, uno alla sua destra, l’altro alla sinistra, con la cavezza corta arrotolata nelle mani, per impedire che venissero a contatto e si prendessero a morsi.

Verso le tre di notte, un rumore di un motore che si avvicinava sempre di più, svegliò lo zio, era la corriera che passava per il Pantano di Senise, fece sosta per qualche minuto e poi ripartì; ne scese un signore che si diresse verso la casa occupata dalla carovana.

L’ansia, la paura, montavano nell’animo di zio Beniamino che attendeva da un momento all’altro l’arrivo di quei passi,che avvertiva sempre più vicino.

La porta si aprì all’improvviso ed il Cantoniere fece il suo ingresso nella stanza intiepidita dal respiro dei somari e maleodorante per lo sterco sparso sul pavimento.

Lo stupore iniziale che il cantoniere provò alla vista di quella scena, si trasformò subito in collera, apostrofò in male modo lo zio, con energia lo afferrò per un braccio e lo costrinse ad uscire, assieme alle bestie, nella strada, dove ancora la violenza del temporale, con tuoni e fulmini non concedeva tregua.

Non volle sentire ragioni, non permise al giovanotto di dare spiegazioni in merito a quello che era successo, gli impose con determinazione di pulire la stanza dagli escrementi e di lasciare subito il Pantano di Senise.

La comitiva costretta nottetempo a partire si avviò lentamente, con il buio fitto, lungo il tratturo della transumanza, e l’alba la colse con la sua incerta e tiepida luce, sull’irta salita del monte di Colobraro.

Era l’inizio del 3° giorno, i fantasmi che avevano popolato la notte erano spariti, la pioggia era cessata ed aveva scaricato lontano i fragorosi tuoni che avevano innervosito i somari e creato paura, ansia nell’animo del loro giovane e coraggioso padrone.